Senza titolo (Donna con petto nudo)
Mino Maccari
1950-1960
Olio su tavola
35 x 19,5 cm
Anno di acquisizione ante 1983
Inv. 0831
N. Catalogo C4
Provenienza
Disegna sulla carta maschere e gestualità con immutabile improvvisazione, che sulla tela diventano eterni, piccoli eroi della «commedia dell’arte».
Mino Maccari, nato a Siena nel 1898, pittore, disegnatore e incisore tra i più rappresentativi del Novecento, caratterizza la sua lunga ricerca artistica di inesauribile estro e mordente da osservatore attento e disincantato, rivelando con forte carica espressionistica gli accenti chiaroscurali del quotidiano.
L’umanità delle sue opere è descritta attraverso colori acerbi e aspri, a tratti ombreggiati, che lasciano trapelare segrete e improvvise leggiadrie. I suoi personaggi sono tormentati e lontani da falsi perbenismi, i suoi segni colpiscono nel profondo e inducono alla riflessione. Maccari descrive, sempre con inossidabile sensibilità, difetti, vizi e segreti della realtà, con accenti provocatori e pungenti, mai scontati. Disegna sulla carta maschere e gestualità con immutabile improvvisazione, che sulla tela diventano eterni, piccoli eroi della «commedia dell’arte». Quella del disegno è un’attitudine che l’artista stesso dichiara di continuare a esperire per tutta la vita: «[...] da fanciulli, tutti disegnano. Poi smettono. Io non ho mai smesso, ecco tutto [...]»1.
Grande colorista, sperimentatore di tecniche incisorie come la linoleografia e prolifico narratore di acuta percezione estetica, Maccari è ricordato, nel fecondo quadro della cultura italiana novecentesca, non solo per la sua arte figurativa, ma anche per una più versatile gamma di interessi e attività come la produzione editoriale, il giornalismo, la critica d’arte, la letteratura e l’organizzazione culturale. Si laurea in Giurisprudenza nel 1920 dedicandosi già ai primi esperimenti xilografici e pittorici. È il 13 luglio del 1924 quando pubblica, nella tipografia Bardini di Colle Valdelsa, in collaborazione con Angiolo Bencini il primo numero de «Il Selvaggio», con una sua incisione in prima pagina. A partire dall’aprile del 1926 Maccari assume la direzione della rivista, spostandone la redazione prima a Firenze, poi a Siena e Torino e nel 1932 definitivamente a Roma e coinvolgendo i primi collaboratori illustri, quali Achille Lega e Ottone Rosai, Ardengo Soffici e Curzio Malaparte e, qualche anno più tardi, Filippo de Pisis, Carlo Carrà e Giorgio Morandi, al quale lo legò un’affettuosa e duratura amicizia2. Nel 1928 partecipa per la prima volta alla XVI Biennale di Venezia, nel 1929 espone puntesecche alla II Mostra del Novecento Italiano a Milano, mentre nel 1931 è invitato alla I Quadriennale di Roma, anno in cui è nominato, dal neodirettore Malaparte, caporedattore de «La Stampa». Nei primi anni trenta inizia su «Il Selvaggio» anche la collaborazione con l’amico Italo Cremona, che qualche anno più tardi, nel 1938, recensirà con toni entusiastici una sua mostra presso la galleria La Zecca di Torino.
Sarà poi Roberto Longhi ad avvertire nel disegno di Maccari «una cultura complessa, avventata, rapace, buona per ristorarci dalla sordida ignoranza di tanti infioccati bovoni o cavallacci da tiro della grande arte»; riconoscendogli anche la capacità di «schiarire la vista» e di far considerare ciò che succede fuori dall’Italia3.
Il suo segno ha in sé l’esperienza di Paul Cézanne e Pablo Picasso, del fauvismo di André Derain e dell’espressionismo di James Ensor e George Grosz, anche per le scelte compositive, seppur meno rigide, ma dal carattere salace e dall’esito unico, non riconducibile ad alcuna tendenza o movimento artistico.
L’olio su tavola in Collezione Cerruti, che con probabilità si può ricondurre al decennio 1950-1960, descrive una donna scarmigliata e lasciva. È esempio della costante vena maccariana d’ironica sfrontatezza in cui la ballata dei sensi di signorine procaci e vecchi signori libidinosi prende forma: «la tela diventa arena di sfida»4 dal colore materico e dal segno convinto di chi crede nella pennellata come strumento di narrazione e denuncia sagace. Una schiettezza d’intenti, questa, che Francesco Federico Cerruti ha apprezzato includendo l’opera di Mino Maccari nella sua collezione, forse anche per quel modo, così singolare, dell’artista senese di intendere il quadro e la sua fruizione:
«[...] anche nell’ambito ristretto e privato del colloquio (se è così che si può chiamare) fra un dipinto e il suo osservatore, proprietario e frequentatore che sia, il rapporto non è sempre il medesimo: quante volte infatti un quadro sembra, rivisto ad una certa distanza di tempo, diverso da quello che si conserva nella memoria? Quante volte un quadro che ci entusiasma ci lascia freddi e viceversa? Quante volte restiamo sorpresi da particolari che prima erano sfuggiti alla nostra attenzione? La pittura non può essere guardata a lungo: c’è un limite oltre il quale l’occhio si stanca e divaga. La pittura va vista brevemente e spesso»5.
Elena Inchingolo
1 Bari 1998-1999, p. XXVI.
2 Conosciutisi tramite Leo Longanesi nel 1924, Morandi e Maccari diventano compagni di strada con pensieri e obiettivi affini, stringendo un sodalizio che si interromperà solo con la morte del maestro bolognese nel giugno del 1964. Da ricordare, tra gli altri, uno dei momenti comuni che costellano le loro vite: la partecipazione alla prima Biennale di Venezia del dopoguerra nel 1948, dove entrambi ricevono il premio principale, Morandi per la pittura e Maccari per l’incisione.
3 R. Longhi, in Siena 1977, p. VI.
4 Montevarchi-Arezzo 2000, p. 16.
5 Sasso Marconi 1976, p.n.n.
