San Sebastiano
Ambrogio da Fossano, detto il Bergognone
1488-1489
tempera e olio su tavola, 2 parti
123 x 44 cm (senza cornice);
126,2 x 48 x 4,5 (con cornice)
Anno di acquisizione 1993
N. Catalogo A20a
Inv. 0020
Provenienza
I pannelli ritraggono a figura intera i Santi Rocco e Sebastiano sullo sfondo di popolati paesaggi.
San Rocco, come di consueto (Piacenza2000), è abbigliato da pellegrino. Indossa una corta veste, il mantello (recante sulla spalla l’emblema papale), la bisaccia, il bordone e il cappello con la conchiglia e le immagini della croce e del Volto Santo. Si è slacciato una delle lunghe calze per mostrare il bubbone della peste sulla coscia. È appoggiato a un melo, allusivo alla croce di Cristo, per la quale Rocco ha combattuto: a questo proposito Levi d’Ancona1 punta l’attenzione sulla presenza dell’emblema dei crociati sul cappello del santo e di quello papale sul suo mantello. Sul terreno ai piedi di Rocco si individua una ricca vegetazione: ciclamini, forse anemoni e, centralmente, in primo piano, fiordalisi (allusivi rispettivamente al dolore della Vergine, alla morte e al Cristo2). Sullo sfondo si scorgono, a sinistra, un borgo abitato, con una figura di soldato in primo piano, e a destra uno specchio lacustre, sul quale si affacciano alcune case.
San Sebastiano è ritratto nel momento del martirio, cui partecipa serenamente. Il corpo nudo, coperto dal solo perizoma, appare crivellato dalle frecce. È legato a una quercia, simbolo di pazienza, sopportazione e fede incrollabile3. Nel terreno fioriscono, da sinistra, aquilegie, margherite e ranuncoli, che alludono alla passione di Cristo, alla purezza d’animo e alla morte4. Sulla destra occhieggia una felce, che, associata al martirio di san Sebastiano5, fa riferimento alla peste, certamente il motivo scatenante per queste opere, nate come ex voto per la cessazione del morbo6. Sullo sfondo, si innalzano le rovine di Roma (un arco di trionfo, colonne e mura sbrecciate), tra le quali si muovono i soldati romani e gli aguzzini di Sebastiano.
Le due tavole, di discreto spessore (nel caso del San Roccofino a 4 cm, in quello del San Sebastiano fino a 3 cm), si presentano decurtate di una buona porzione nel margine superiore e rifilate nei profili laterali e in quello inferiore. Il supporto del San Sebastiano appare leggermente imbarcato. Il retro dei dipinti, dei quali non sono documentati restauri, è stato piallato e non reca alcuna iscrizione, fatta salva la numerazione tracciata a pennello «48» e «49», rispettivamente sul San Sebastiano e sul San Rocco. La pellicola pittorica appare complessivamente in buono stato di conservazione, solo integrata da alcuni antichi ritocchi: sono ancora ben percepibili il morbido chiaroscuro dei volti e le preziosità luministiche dispiegate sui capelli dei santi, sul panneggio di San Sebastiano e sul panno annodato al bastone di San Rocco.
Le tavole sono riconoscibili nei laterali del polittico dei santi Rocco e Sebastiano della Certosa di Pavia, che è pagato ad Ambrogio Bergognone nel biennio 1488-1489, come risulta annotato nel fededegno manoscritto braidense, che permette di ricostruire tanta parte della storia della decorazione certosina nell’ultimo quarto del Quattrocento sulla scorta di documentazione non più esistente: «L’anno 1488 e 1489 maestro Ambrosio Fossano pittore fece l’ancona dove è dipinta l’imagine della Beata Vergine, santi Sebastiano e Rocco, hora nel oratorio di Vigano, per pretio di L. 370»7. Il primo a ipotizzare il collegamento tra le opere e la fonte, diversamente da quanto segnalato dalla maggioranza degli studiosi, non fu il Calvi8, che si limita a ricordare i dipinti in Collezione Gallarati Scotti e a riportare la notizia del manoscritto braidense, ma Beltrami nel 18959, seguito nel 1912 da Tancred Borenius10 e nel 1914 da Cagnola11. I due dipinti dovevano probabilmente decorare uno dei due altari posti ai lati dell’ingresso al coro monastico della chiesa certosina, dei quali nella visita apostolica del 1576 si chiedeva la demolizione12. Nell’oratorio di Vigano si trovavano ancora nel 1785, quando li elencava un inventario13, descrivendo un «quadro che forma ancona in tre pezzi rappresentanti quello di mezzo la Beata Vergine col Bambino, alla dritta S. Sebastiano e quello della sinistra S. Rocco con cimasa ove è rappresentato il Padre Eterno». Il polittico era stato verosimilmente trasferito a Vigano sul finire del Cinquecento per fungere da pala d’altare dell’oratorio e passò, con la soppressione dell’ordine, alla Collezione Melzi d’Eril, formata
dal cavaliere Giacomo attingendo ampiamente dal Fondo di religione. Presso i Melzi Santi Rocco e Sebastiano sono menzionati negli inventari del 180214, del 1809 e del 183515. Nel 186516 erano già in Collezione Gallarati Scotti, dalla quale sono passati nel 1983 presso la raccolta di Francesco Federico Cerruti. Il centrale del polittico è stato convincentemente individuato da Albertini Ottolenghi17 nella Madonna Davies della National Gallery di Londra, che condivide il medesimo punto di stile dei Santi Rocco e Sebastiano e gli stessi passaggi collezionistici delle tavole Cerruti, fino a quando entra a far parte nel 1879 delle collezioni inglesi18. Una conferma decisiva in questo senso viene, come giustamente sottolineato dalla studiosa, dalla palmare desunzione che, dei due laterali e del centrale dell’ancona certosina, mostra il più tardo polittico di Cremia (San Michele19). Resta da individuare il Padre Eterno menzionato dall’inventario dell’oratorio di Vigano del 1785, che è probabilmente il medesimo elencato da Berenson20, ricordato nella Collezione Gallarati Scotti nel 1939 da Tola21 ed esposto con i Santi Cerruti alla mostra leonardiana del 1939 22.
La vicenda critica delle due tavole è dai suoi esordi collegata al nome di Bergognone, sin dalle menzioni di Calvi (1865) e Beltrami (1895)23. Berenson (1907 e 1936) riscontra nelle due opere lo stile di Bergognone giovane24. Dal 1939, quando i due dipinti presenziano alla mostra di Leonardo25, si apre per essi un periodo di esposizioni: nel 1945 sono a Lucerna alla mostra «Italienische Kunst»26; nel 1948 partecipano a quella zurighese «Kunstschätze der Lombardei»27. Nelle schede dei due cataloghi, redatte sulla scorta di materiali forniti da Costantino Baroni e Gian Alberto Dell’Acqua, si affaccia per la prima volta una datazione delle due opere agli anni maturi del maestro; una collocazione cronologica, non accettata inizialmente da Franco Mazzini28 nella sua monografia sul pittore, ulteriormente precisata da Baroni e Samek Ludovici29 nei pressi del polittico di Santo Spirito di Bergamo, sul finire del primo decennio del Cinquecento. Ai primi anni del XVI secolo pensa Poracchia30; ancora alla fine del primo decennio del Cinquecento Wittgens31, che riscontra nella nuova maniera leonardesca di Bergognone il permanere di istanze foppesche. San Rocco e San Sebastiano presenziano anche alla grande mostra milanese del 1958 «Arte lombarda dai Visconti agli Sforza»32. Nel catalogo li scheda Franco Mazzini, che pare ormai convinto della datazione tarda delle due opere, vicine al polittico bergamasco di Santo Spirito, e accantona definitivamente il legame con la notizia del polittico certosino licenziato da Bergognone tra 1488 e 1489. Lo segue Poracchia33, mentre le liste di Berenson (1968)34 continuano a proporre una datazione agli anni giovanili. A una collocazione cronologica alta pensa anche Giulio Melzi D’Eril35: non,
però, al lasso di tempo indicato dal manoscritto braidense per il polittico certosino dei santi Rocco e Sebastiano, bensì agli anni 1493-1494, durante i quali Bergognone opera agli affreschi dei catini absidali della Certosa di Pavia. Se ancora, nel 1987, c’è chi concorda sulla datazione tarda dei due dipinti36, con Battaglia e Albertini Ottolenghi37 si torna a collegare le due tavole alla notizia del pagamento del 1488-1489, ricomponendo, come già ricordato, il polittico certosino. Albertini Ottolenghi individua nel San Sebastiano il richiamo al coevo San Sebastiano foppesco di Santa Maria di Brera (Milano, Pinacoteca di Brera), echi mantegneschi e un probabile riflesso del Cristo alla colonna bramantesco. Riconosce inoltre nelle tavole Cerruti e nei coevi Santi Pietro e Paolo del Museo della Certosa di Pavia l’avvio di una nuova maniera bergognonesca, caratterizzata da una meditata e sottile esecuzione, da un’inedita modulazione della luce sulle superfici e da un modellato estremamente fuso. Su questa lunghezza d’onda si pongono le ultime voci bibliografiche relative ai dipinti, che nel 2015 sono stati esposti alla mostra milanese, rievocativa della esposizione del 1958, «Arte lombarda dai Visconti agli Sforza»38.
Le due opere, che mostrano un punto di stile perfettamente coincidente con quello dei Santi Pietro e Paolo del Museo della Certosa pavese, propongono una evidente assimilazione delle novità bramantesche, che sono già quelle degli Uomini d’arme di casa Visconti (1487) e del Cristo alla colonna (1488 circa: entrambi, il ciclo e la tavola, alla Pinacoteca di Brera). Senza questi riferimenti, difficilmente si possono comprendere i tanti e sottili escamotage prospettici messi in opera nelle due tavole: le frecce disposte illusionisticamente, che gettano la propria ombra sul corpo di san Sebastiano; le braccia dello stesso santo, in scorcio e strette da corde che ne arrossano le carni, come nel Cristo bramantesco; la mano sinistra di san Rocco, prospetticamente intesa; i volti stereometrici. Le medesime coordinate culturali sono condivise dall’antico centrale del trittico, la Madonna con il Bambino e angeli musicanti della National Gallery di Londra, in cui si riscontrano però forme più solide e una più risentita acribia nella definizione dei panneggi (fig. 1). La presenza, sul bordo inferiore del manto di Maria, della iscrizione «B[ER]NARDINO» pone il problema della presenza, accanto ad Ambrogio, del fratello Bernardino. Si tratta di una questione che la critica ha per decenni eluso, malgrado siano noti da tempo i rapporti che legarono i due fratelli, compresenti e collaboranti in Certosa dal 1491 al 1497, ma anche, alla fine del secolo e nel primo Cinquecento, a Lodi, Melegnano, Milano. La documentazione riunita da Shell39 permette di capire che Bernardino era più giovane di Ambrogio e che, oltre a collaborare alla pari con lui (per lo meno dal 1491) con una modalità tutta ancora da chiarire, portava avanti commissioni in proprio40.
[Stefania Buganza]
Fig. 1. A. e B. Bergognone, Madonna col Bambino e angeli musicanti, 1488-1489 c., Londra, The National Gallery.
1 Levi d’Ancona 1977, p. 51, fig. 8.
2 Ibid., pp. 44, 113-114, 118-119.
3 Ibid., 1977, p. 252, nos. 3-4.
4 Ibid., pp. 105, 124, 325.
5 Ibid., p. 134, no. 7.
6 M. G. Albertini Ottolenghi, “Il Bergognone alla Certosa e le ancone quattrocentesche”, in Pavia 1998, p. 181.
7 Calvi 1865, p. 251; Memorie 1879, pp. 135-136; bat- taglia 1992, pp. 147-148; giaComElli vEdovEl- lo 1998, p. 64.
8 Calvi 1865, pp. 246-247.
9 Beltrami 1895, p. 57.
10 Crowe-Cavalcaselle [1871] 1912, vol. II, p. 364, note 2.
11 Cagnola 1914, p. 218.
12 Albertini Ottolenghi, “Il Bergognone alla Certo- sa...” cit., p. 180.
13 M. Comincini, “L’ancona dei Santi Rocco e Seba- stiano: un documento inedito”, in pavia 1998.
14 Carotti 1901, p. 169, nos. 34-35.
15 Melzi d’Eril 1971, pp. 138-140; id., 1973, pp. 72- 74.
16 Calvi 1865, p. 251.
17 Albertini Ottolenghi, “Il Bergognone alla Certosa...” cit., pp. 180-81.
18 Melzi d’Eril 1971, pp. 137-138; id., 1973, pp. 67- 69.
19 See D. Pescarmona, “Como, Canton Ticino e Sondrio”, in La pittura in Lombardia 1993, pp. 98, 108. bErEnson 1907, p. 174; id., 1932, p. 99; id., 1936, p. 85; id., 1968, I, p. 44.
20 Berenson 1907, p. 174; id., 1932, p. 99; id., 1936, p. 85; id., 1968, I, p. 44.
21 Tola, p. 133, quoted in Albertini Ottolenghi, “Il Bergognone alla Certosa...” cit., p. 189, note 107; the measurements are 55 x 40 cm.
22 Information given only in the official guide to the Mostra di Leonardo, 1939, p. 33.
23 Calvi 1865, pp. 246-247; Beltrami1895, p. 57.
24 Berenson 1907, pp. 99, 667; id., 1936, p. 85.
25 Milan 1939, p. 187.
26 Lucerne 1945, p. 31.
27 Zurich 1948, p. 243.
28 Mazzini 1948, p. 80.
29 Baroni, Samek Ludovici1952, pp. 212-213.
30 Poracchia 1955, p. 82.
31 F. Wittgens, “La pittura lombarda nella seconda metà del Quattrocento”, in Storia di Milano1953-66, VII, p. 798.
32 Milan 1958, p. 129.
33 Poracchia 1963, pp. 25-27.
34 Berenson 1968, vol. I, p. 44.
35 Melzi d’Eril 1971, pp. 138, 140; id., 1973, pp. 73-74.
36 M. Chirico de Biasi, “Bergognone, Ambrogio”, in Zeri 1987, p. 583.
37 Battaglia 1992, pp. 147-148, note 204; Albertini Ottolenghi, “Il Bergognone alla Certosa...” cit., p. 181.
38 S. Buganza, P. L. Mulas, F. Elsig, “La corte di Ludovico il Moro e il nuovo corso dell’arte lombarda”, in Milan 2015, pp. 303-304; n. righi, in Milan 2015, pp. 366-367.
39 J. Shell, “Bergognone: una nuova biografia”, in Milan 1989d, pp. 20-28; J. Shell, “Regesto”, in Pavia 1998, pp. 427-436.
40 Buganza 1997, p. 118; S. Buganza, in Milan 2014-15, p. 91, note 65; M. Albertario, in Valagussa 2018, pp. 180-183; M. Albertario, “Francesco Eustachi e la pala di Sant’Epifanio. Ipotesi per un committente pavese di Bergognone”, in Mulas 2019, pp. 219-229.