Paysage (The Olive Orchard)

Paesaggio (L'oliveto)

Jean Fautrier

1957
Bianco di Spagna, olio, pigmenti e inchiostro su carta su tela
50 x 65 cm
Anno di acquisizione 1980-1985


Inv. 0114
N. Catalogo A106


Provenienza

Bibliografia

«Mi piaceva l’idea di mescolare, [...] di poter prendere dell’inchiostro, dell’olio, dell’acquarello, qualunque cosa, delle polveri se capita»1. Così, in dialogo con Jean Lescure, Jean Fautrier spiegava nel 1959 l’origine della sperimentazione che lo aveva condotto negli anni quaranta a ritornare alla pittura dopo una lunga sospensione, abbandonando definitivamente la tecnica dell’olio su tela: «la pittura a olio mi disgustava»2, confidò ad André Verdet, che del dipinto ora in Collezione Cerruti fu il primo proprietario. Egli passò a utilizzare come supporto la carta, incollata su tela e preparata con uno strato di enduit, un fondo denso di bianco di Spagna. Alla prima stesura aggiungeva poi altri strati di pasta, modellati irregolarmente a tocchi di spatola, su cui spargeva pigmenti e sovrapponeva velature di inchiostri e colori a olio. Infine tracciava nella materia con una stecca solchi sottili, incrociati a tratti di disegno a pennello. Una serie fotografica di Robert Descharnes, realizzata nel 1955 per un articolo di Michel Tapié dedicato alla qualità «autre» della pratica di Fautrier3, documenta il succedersi degli interventi del pittore sul supporto disposto in orizzontale, e Palma Bucarelli ripubblicò quei fotogrammi nel suo volume Jean Fautrier. Pittura e materia, il pionieristico catalogo ragionato dell’opera dell’artista pubblicato nel 1960, l’anno in cui gli venne conferito, non senza polemiche ed ex aequo con Hans Hartung, il premio internazionale per la pittura della Biennale di Venezia. 

A partire dalla serie degli Otages (1943- 1945), il nuovo corso della ricerca di Fautrier suscitò un’eco immediata negli scritti dei letterati e dei poeti amici Jean Paulhan, André Malraux, Francis Ponge, cui si aggiunsero, dai primi anni cinquanta, i contributi dei critici e degli storici dell’arte. Centrale in entrambe le serie di testi era, e rimane4, la questione del rapporto tra materia e figura, tra l’espressività silente dell’informe e l’affiorare elusivo di una possibile immagine. 

Il dipinto appartenuto a Francesco Federico Cerruti è un paesaggio, che la catalogazione proposta da Bucarelli, sulla scorta di fitti confronti epistolari con l’artista e il suo entourage, riferisce al 19575. «Fautrier - scriveva Michel Ragon in quel medesimo anno - intitola volentieri certi suoi dipinti Arbres, o Paysages, o Forêts»6, sottintendendo che quei titoli fossero semplici pretesti, concessioni tematiche più che indicazioni di soggetti precisi. Ma il riferimento al tema paesaggistico offre la possibilità di leggere attraverso un duplice filtro, minerale e atmosferico, la densità della pasta cromatica e la levità dei pulviscoli colorati che vi si depositano, in questo caso giocati su un contrasto squillante dei toni azzurri e malva frequenti nei dipinti di Fautrier a partire dal 1954. 

Sul telaio dell’opera un’etichetta intestata «Galerie Rive Droite» (la galleria parigina dove furono esposte tra il 1955 e il 1957 le serie degli Objets, dei Nus, dei Partisans) ne riferisce la proprietà al pittore e poeta André Verdet. Il dipinto fece poi parte, fino alla metà degli anni settanta, della Collezione Cavellini, entrandovi con ogni probabilità tra il 1958 e il 1959. 

Esso ancora non compare tra le opere esposte nel 1957 nella mostra «Pittori moderni dalla collezione Cavellini» che Palma Bucarelli accolse alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, così come il nome di Fautrier non è citato nel volume Arte astratta. Poesia e vita difficile di una tendenza artistica, che Achille Cavellini pubblicò l’anno successivo per le Edizioni della Conchiglia di Milano; l’opera è invece indicata come di proprietà Cavellini nel catalogo ragionato che Bucarelli diede alle stampe nel giugno del 1960. Nei suoi diari il collezionista bresciano ricostruisce in dettaglio la modalità di molti suoi acquisti, ma relativamente a Fautrier si limita a ricordare un incontro veneziano e la visita nel gennaio del 1961 alla casa di Châtenay-Malabry7, sicuramente preceduti, per quanto riguarda la conoscenza dell’opera, dalla mostra alla Galleria Apollinaire di Milano, in cui Guido Le Noci presentò per la prima volta in Italia nel 1958 l’intero percorso dell’artista, sottolineandone in catalogo il ruolo di precursore dell’Informel sin dalla fine degli anni venti8

Maria Teresa Roberto

 

1 Lescure 1959, p. 15.

2 Verdet 1958, p. 5, trad. dell’autrice.

3 Tapié 1955, pp. 30-34, 63.

4 Si vedano Winterthur 2017 e Parigi 2018a.

5 Bucarelli 1960.

6 Ragon 1957, p. 42, trad. dell’autrice.

7 Cavellini 1977, passim; Cavellini 1989, p. 21.

8 Milano 1958b; si veda Nicoletti 2014, pp. 171-173.