Paesaggio

Giorgio Morandi

1939
Olio su tela
49 x 53,5 cm
Anno di acquisizione 1983 ante


Inv. 0150
N. Catalogo A143


Provenienza

Esposizioni

Bibliografia

«Chi ha detto che Morandi si ripete? Che i suoi quadri sono tutti uguali? Ciechi, lavatevi gli occhi! C’è più avventura di fantasia in queste bottiglie e in questi paesaggi che in tutto il resto, forse, della pittura italiana contemporanea».

Renato Guttuso

 

«Chi ha detto che Morandi si ripete? Che i suoi quadri sono tutti uguali? Ciechi, lavatevi gli occhi! C’è più avventura di fantasia in queste bottiglie e in questi paesaggi che in tutto il resto, forse, della pittura italiana contemporanea»1. La reazione di Renato Guttuso di fronte ai quadri della collezione di Carlo Cardazzo esposti a Roma nella primavera del 1941 può degnamente introdurre le cinque tele di Giorgio Morandi della Collezione Cerruti. Un artista che fu spesso accusato di monotonia, tematica ma anche stilistica, sperimenta nel ventennio in cui si scalano queste opere una varietà di linguaggi pittorici quasi sconcertante: sul piano dell’esecuzione Morandi oscilla dalla stesura sensibilmente chiaroscurata, ricca di modulazioni tonali, della Natura morta del 1945 fino alle superfici opache di quella del 1951 ottenute con pennellate dense e sovrapposte; sul piano della regia visiva (e per ciò che riguarda, in particolare, il rapporto tra la posizione delle cose nello spazio e l’arabesco delle loro forme che affiora sulla superficie) la violenta, sintetica tarsia del Paesaggio del 1939 sembra l’esatto opposto della morbida modulazione luminosa, di memoria pierfrancescana, della Natura morta del 1958. Chi oggi guardi insieme questi cinque quadri deve ammettere che non esiste uno «stile Morandi»: a creare un legame tra di loro è la tensione che costantemente si crea nel rapporto tra l’architettura della visione e il colore, costantemente chiamato a contraddire questa architettura. Gli osservatori più preparati riconobbero in questa tensione il cuore della ricerca pittorica di Morandi e la sua grandezza: nel 1939 Cesare Brandi intuì che nella «fusione a caldo» tra «costruzione spaziale prospettica e costruzione cromatica» era quest’ultima a imporsi, e il colore portava sempre un «improvviso attacco dissolvente all’oggetto»2

Il Paesaggio della Collezione Cerruti è stato dipinto a Grizzana nell’estate del 1939 pochi mesi dopo le parole di Brandi. Nella sala allestita da Morandi alla III Quadriennale Romana del 1939 due suoi Paesaggi di qualche anno precedenti vennero acquistati dalla Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino e dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma: verso la fine degli anni trenta era dunque riconosciuto il valore esemplare della sua ricerca nel genere del paesaggio più che in quello, al tempo considerato minore, della natura morta. Morandi sperimentava in questi Paesaggi formati tendenti al quadrato (sottolineava così l’artificialità della visione, crudamente ritagliata e avvicinata allo sguardo dello spettatore) e uno schema costruttivo sostanzialmente astratto, dove le zone cromatiche (vegetazione, case, cielo) si incastravano le une nelle altre con violente commessure. Questo Paesaggio conserva le caratteristiche dei paesaggi degli anni immediatamente precedenti: ma la stesura meno compatta, il tocco più magro e sfrangiato e allo stesso tempo più ricco di variazioni tonali recupera il dettato chiaroscurale di alcune sue incisioni paesistiche degli anni venti e trenta. E, soprattutto, apre la via alla serie dei Paesaggi realizzati nelle due estati successive (1940 e 1941): dove la vibrazione della pennellata intende restituire, secondo l’esempio dell’ammiratissimo Jean-Baptiste- Camille Corot, il qui e ora della condizione atmosferica nel rispetto della più rigorosa architettura. La storia collezionistica dell’opera è esemplare poiché coinvolge due delle maggiori collezioni storiche di Morandi. Ad acquistare per primo il Paesaggio del 1939, presumibilmente a ridosso dell’esecuzione, fu l’avvocato romano Pietro Rollino che possedeva la raccolta di Morandi più numerosa del tempo. Il successivo transito nella collezione di Emilio Jesi, forse collocabile negli anni cinquanta (nel 1946 il quadro era ancora Rollino, come testimoniato nella monografia di Cesare Gnudi) dà conto dell’interesse per questa opera da parte di un collezionista che stava raccogliendo i valori più alti dell’arte moderna e che considerava Morandi un sicuro punto di riferimento internazionale. A fare da tramite per il passaggio collezionistico successivo è stata la milanese Galleria dell’Annunciata il cui proprietario, Bruno Grossetti, fu un attivo sostenitore della pittura di Morandi nella Milano del dopoguerra: una etichetta incollata sul retro della tela testimonia della sua presenza nella galleria milanese nella nuova sede di via Manzoni, aperta nel 1959. Il quadro, come attestato da un’etichetta sul telaio, appartenne poi alla gallerista ginevrina Marie-Louise Jeanneret, che a fine 1977 organizzò una mostra di Morandi, in cui l’opera venne esposta. Non è nota la data di entrata nella Collezione Cerruti3

Flavio Fergonzi

 

1Guttuso 1941, poi in Guttuso 2013, p. 181.

2Brandi 1939, p. 250.

3L’opera è presente nell’Inventario dei mobili, dipinti, sculture, argenti, tappeti, maioliche, porcellane e oggetti d’arte che si trovano nella villa di Rivoli alla data del 30-06-1993, registrata nella camera da letto cosiddetta «della madre» (Archivio Collezione Cerruti).