Orbite celesti
Giacomo Balla
1913
Olio su tela
60 x 80 cm
Anno di acquisizione ante 1983
Inv. 0073
N. Catalogo A65
Provenienza
Esposizioni
Bibliografia
Una rappresentazione del reale che non mira a una restituzione oggettiva del dato empirico, ma che riflette invece il sentimento con cui Balla guarda all’universo, la cui grande complessità può essere percepita attraverso l’intuizione e la percezione sensibile.
La passione per gli astri e la cosmogonia celeste ha da sempre affascinato Balla, attento osservatore del suo tempo, carico di prospettive rivoluzionarie, grazie alle grandi scoperte che avrebbero cambiato il rapporto tra l’uomo e le leggi dell’universo. Astronomo dilettante, Balla legge testi di divulgazione scientifica, tra i quali predilige quelli di Camille Flammarion e Giovanni Schiaparelli, e osserva le stelle dal lungo balcone della sua casa di via Parioli. Questa grande fascinazione per l’immensità del firmamento la condividerà in seguito anche con la figlia Elica: «Il primo insegnamento che mi diede fu per l’astronomia, prima ancora che per la pittura. Mi indicava la luce ferma dei pianeti. Venere, Marte, Giove, Saturno [...] Era come affascinato da quel mistero di luce e di vita nell’Universo stellato»1. Mistero che Balla indaga anche attraverso l’arte, nel tentativo di esprimere sulla tela tutta la poesia dell’eterno scorrere di quei mondi lontani. Già con La Costellazione di Orione del 1910, Balla inizia a confrontarsi con i temi legati allo spazio cosmico, senza tuttavia ancora penetrare la sensazione di moto universale che sarà invece dominante nei lavori dedicati alle traiettorie orbitali, ai vortici, e al transito di Mercurio davanti al Sole, eseguiti nel 1913-1914. Opere che tradurranno quella «poesia delle forze cosmiche» cantata da Marinetti in Lo splendore geometrico e meccanico e la sensibilità numerica, in ardite soluzioni formali.
La logica che sottende tale ricerca è in Balla la diretta conseguenza delle sue precedenti sperimentazioni nel campo del moto terrestre: dalle linee di velocità delle automobili, al volo aereo delle rondini, sfida l’universo, rapito dallo splendore del dinamismo dei corpi celesti, attraverso la rappresentazione di un moto lineare in un tempo definito e quella ciclica appartenente a un tempo infinito.
Al fenomeno delle rotazioni degli astri, Balla dedica il dipinto Orbite celesti, in cui rappresenta la sequenza di una traiettoria orbitale, in uno spazio diafano e leggero ottenuto da velature quasi trasparenti che restituiscono alla pigmentazione un effetto simile a un disegno a pastello. La composizione guida l’occhio a seguire la linea di continuità del moto di un corpo celeste che si ripete, attraversando la tela da sinistra a destra, in maniera sempre uguale.
La percezione del movimento viene sottolineata dal viola che circonda l’astro, come una traccia persistente del suo passaggio, in contrasto con l’eterea inconsistenza della materia luminosa. Nella composizione s’inseriscono anche altre linee curve, il cui propagarsi nello spazio appare assolutamente autonomo rispetto al moto orbitale del pianeta, come a suggerire orbite più vaste di altri corpi luminosi. Una rappresentazione del reale che non mira a una restituzione oggettiva del dato empirico, ma che riflette invece il sentimento con cui Balla guarda all’universo, la cui grande complessità può essere percepita attraverso l’intuizione e la percezione sensibile. In questa direzione Balla si spingerà oltre già a partire dal 1915, alla ricerca di «equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi» per una Ricostruzione futurista dell’Universo.
Zelda De Lillo
1Balla 1983, p. 23.
