Natura morta

Giorgio Morandi

1958
Olio su tela
26 x 31 cm
Anno di acquisizione 1968


Inv. 0153
N. Catalogo A146


Provenienza

Esposizioni

Bibliografia

Una simile tensione astratta convive però con una pulviscolare esattezza luminosa [...]

 

«Chi ha detto che Morandi si ripete? Che i suoi quadri sono tutti uguali? Ciechi, lavatevi gli occhi! C’è più avventura di fantasia in queste bottiglie e in questi paesaggi che in tutto il resto, forse, della pittura italiana contemporanea»1. La reazione di Renato Guttuso di fronte ai quadri della collezione di Carlo Cardazzo esposti a Roma nella primavera del 1941 può degnamente introdurre le cinque tele di Giorgio Morandi della Collezione Cerruti. Un artista che fu spesso accusato di monotonia, tematica ma anche stilistica, sperimenta nel ventennio in cui si scalano queste opere una varietà di linguaggi pittorici quasi sconcertante: sul piano dell’esecuzione Morandi oscilla dalla stesura sensibilmente chiaroscurata, ricca di modulazioni tonali, della Natura morta del 1945 fino alle superfici opache di quella del 1951 ottenute con pennellate dense e sovrapposte; sul piano della regia visiva (e per ciò che riguarda, in particolare, il rapporto tra la posizione delle cose nello spazio e l’arabesco delle loro forme che affiora sulla superficie) la violenta, sintetica tarsia del Paesaggio del 1939 sembra l’esatto opposto della morbida modulazione luminosa, di memoria pierfrancescana, della Natura morta del 1958. Chi oggi guardi insieme questi cinque quadri deve ammettere che non esiste uno «stile Morandi»: a creare un legame tra di loro è la tensione che costantemente si crea nel rapporto tra l’architettura della visione e il colore, costantemente chiamato a contraddire questa architettura. Gli osservatori più preparati riconobbero in questa tensione il cuore della ricerca pittorica di Morandi e la sua grandezza: nel 1939 Cesare Brandi intuì che nella «fusione a caldo» tra «costruzione spaziale prospettica e costruzione cromatica» era quest’ultima a imporsi, e il colore portava sempre un «improvviso attacco dissolvente all’oggetto»2

La piccola Natura morta del 1958 con quattro oggetti (un barattolo cilindrico in primo piano, la bottiglia persiana in ceramica bianca e la brocca dell’acqua sul secondo piano, probabilmente un barattolo cilindrico più alto del primo sullo sfondo) è un capolavoro della fase finale del catalogo morandiano: una significativa testimonianza dell’eccellenza del quadro è il fatto che Morandi volle inserirne la riproduzione a colori nell’antologia di immagini, da lui attentamente meditata, del sontuoso libro del 1964 prefato da Lamberto Vitali. Aiutato dalla riduzione del formato (dal 1958 i quadri superano raramente i 30 x 35 cm) l’artista sperimenta soluzioni costruttive inedite e ardite: le presenze sulla ribalta sono costrette entro una serrata pianta a L rovesciata e l’angolazione del punto di vista evidenzia relazioni puramente astratte tra le parti. Una simile tensione astratta convive però con una pulviscolare esattezza luminosa: gli oggetti, al contrario di quanto succedeva nei quadri più geometrici dei primi anni cinquanta, presentano superfici vellutate e dai confini indeterminati, in dialogo con la coeva ripresa, in Morandi, della pratica dell’acquerello: la gamma cromatica ammette nuove, preziose gamme avorio-viola-prugna-rosate. L’opera fu ceduta da Morandi alla Galleria del Milione (dove entrò con il numero progressivo 7945) e appartenne alla notevole collezione del medico pavese Luigi Molina, transitando poi attraverso le gallerie milanesi Medea e Pescali e la torinese La Bussola, tramite per l’acquisto di Cerruti avvenuto il 1° marzo 19683.

Flavio Fergonzi

 

1Guttuso 1941, poi in Guttuso 2013, p. 181.

2Brandi 1939, p. 250.

3L’opera è menzionata nell’Inventario del 30 giugno 1993, registrata nell’ingresso della villa (Archivio Collezione Cerruti).

Fig. 1. G. Morandi, Natura morta, 1930, acquaforte. Collezione Cerruti (Inv. CC.D.MOR.1930.E65).