Marine, La Ciotat
Nicolas de Staël
1952
olio su tela
16 x 21.6 cm (senza cornice); 27,5 x 32,5 x 2,8 cm (con cornice)
Anno di acquisizione 1997
N. Catalogo A100
Inv. 0108
Così scriveva infatti, nel maggio del 1952, degli effetti di uno sguardo intriso nel Mediterraneo: «Cosa volete se a forza di bruciare la retina sul “cassé- bleu”, come dice Char, si finisce per vedere il mare rosso e la sabbia viola»
1952: «anno in cui Nicolas de Staël varca il Rubicone»1, così Andrè Fermigier sottolineava la portata del passo compiuto dal pittore russo in quell’anno, sul quale poi la critica più ricorrente avrebbe stabilito l’individuazione di una «svolta» storica della sua opera, siglandola con la definizione, non del tutto plausibile, di un improvviso ritorno al figurativo. Almeno quella coeva che ne è stata testimone, fu infatti un’attitudine esegetica che ha più spesso preferito indicare l’irruzione di strappi nel percorso formale di Nicolas de Staël, piuttosto che la continuità di senso e di indirizzo, esercitando un criterio di anacronismo con il quale misurare l’anomalia di quell’esito di ricerca.
Il momento in cui in de Staël si fa più esplicito il riferimento alla figura ebbe, del resto, precise coordinate temporali riconducibili alla sera del 26 marzo del 1952, quando il pittore assisté a un incontro notturno di calcio al Parc des Princes di Parigi. Da questo evento scaturì l’intuizione visiva poi riversata, con alacre immediatezza, in una larga serie di piccoli dipinti preparatori alla monumentale tela Les grands Footballeurs, compiuta entro l’aprile, dalla quale si è soliti registrare una referenza più diretta con il dato naturale, fino a quel momento trattenuta, e l’avvio di quella personale formulazione sintetica, tra fenomeno e visione interiore, che avrebbe informato il canone poetico di de Staël. Nel contesto storico in cui si trovò ad agire, l’operazione effrattiva condotta con la riammissione della figura apparve del resto tanto più inattesa in relazione all’impegno che, negli stessi anni, l’avanguardia artistica europea si dava per bonificare gli stagnamenti della pittura astratta2.
Nel 1952, anno liminale dunque e di straordinaria fertilità3, preludio dell’incontinenza pittorica che segnerà l’ultimo periodo, fino alla morte nel 1955, si iscrive anche Marine. La Ciotat oggi nella Collezione Cerruti. Dipinta tra maggio e giugno, nel periodo in cui, lasciata Parigi, de Staël si trasferisce con la famiglia in Provenza, la piccola tela è realizzata sul motivo, durante le giornate trascorse in spiaggia tra i borghi marini di Bormes, Le Lavandou e La Ciotat. Una traccia figurale, che allude al profilo di una nave, campeggia in primo piano, individuata da larghe stesure orizzontali, secondo una composizione la cui efficacia sembra affidata quasi esclusivamente al valore araldico e timbrico del colore, il blu primario, il verde cobalto, il viola ametista e il rosso vermiglio. Con la spatola, strumento che tra il 1949 e il 1954 predilige, de Staël governa la partitura delle taches, secondo la loro stratificazione e la vibrazione dei rapporti tra zone attigue, tra levigatezza e asperità dei contorni, a questa data già lungamente esplorate.
La tavolozza, ora così straordinariamente virata dentro una gamma elettrica, sembra quasi un approdo tardivo per un artista che a lungo si era trattenuto alla luce del Mediterraneo già durante i suoi anni giovanili, e risente della lunga esposizione solare, adesso assorbita anche psichicamente, fino a farsi conseguenza retinica. Così scriveva infatti, nel maggio del 1952, degli effetti di uno sguardo intriso nel Mediterraneo: «Cosa volete se a forza di bruciare la retina sul “cassé- bleu”, come dice Char, si finisce per vedere il mare rosso e la sabbia viola»4. Il dipinto è appartenuto al collezionista e mercante americano Theodore Schempp che de Staël incontra già nell’autunno del 1947, per una piccola coincidenza biografica che li vede
vicini di appartamento, condividendo i due, per un breve periodo, lo stesso indirizzo di rue Gauguet n. 7, a Parigi. Francesco Federico Cerruti lo acquista dalla Galerie Daniel Malingue di Parigi nel 1997, testimoniando ulteriormente con l’acquisizione di de Staël, come per molte opere della sua collezione, della sensibilità che accordava alla storia espositiva civica di Torino. La fortuna critica di de Staël in Italia deve infatti molto alle sue presenze torinesi, già dai primi anni cinquanta. Delle poche mostre importanti in Italia, ben cinque si realizzarono a Torino, tra cui le due partecipazioni alla rassegna di «Pittori d’oggi. Francia-Italia», nel 1955 e nel 19615, e la prima personale alla Galleria Civica d’Arte Moderna nel 19606, seguita nel 1994 da quella tenuta alla Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo, Parma7. Senza titolo del 1949 (sch. p. 856), che entrerà in collezione una ventina d’anni dopo il paesaggio del 1952, fu esposto alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino nel 1961 a una mostra sul collezionismo privato italiano8, mentre Marine. La Ciotat de Staël è presente alla VIII Quadriennale di Roma del 19599. La fortuna critica italiana, come quella internazionale, si sarebbe assestata all’indomani della sua morte, il 16 marzo del 1955, sulla controversia già citata, suscitata dalla scelta operata dal pittore, consegnandolo alla storia dell’arte del Novecento come figura che indicò una terza via, di uscita dall’aporia stringente tra astrazione e figurazione, un cui riflesso in Italia è possibile rintracciare nella poetica dell’Ultimo Naturalismo, formalizzata a partire dal 1954 da Francesco Arcangeli.
[Laura Cantone]
1 «E ridendosela del terrorismo astratto che regnava all’epoca negli ambienti di avanguardia, richiama a sé con gesto sovrano tutta la commovente diversità del reale». A. Fermigier, Un cosaque au cœur innombrable, in «Le Nouvel Observateur», n. 403, Parigi 1972, p. 34, consultato in Martigny 1995b («Année où Nicolas de Staël franchit le Rubicon. Et faisant fi du terrorisme abstrait qui régnait à l’époque dans le milieux d’avant- garde, attire à lui d’un geste souverain toute la diversité mouvante du réel», trad. dell’autrice).
2 Già dal secondo dopoguerra, la scena parigina convergeva infatti sulla rimessa in questione dell’Astrattismo, da un lato promossa da artisti come Sonia Delaunay, Nelly van Doesburg, Jean Arp, con il primo Salon des Réalités Nouvelles nel 1946, dalla cui iniziale adesione de Staël si ritrae, e dall’altro con la presenza, già del 1941, della compagine dei «Jeunes peintres de tradition française», riconosciutasi intorno all’impegno, anche politico, di rafforzare le proprie eredità con il recupero di un’arte nazionale, e rispetto alla quale de Staël scelse una distante collocazione.
3 L’edizione del catalogo ragionato del 1997 registra 1100 dipinti, datati tra il 1933 e il 1955, di cui ben 242 attribuiti al solo 1952.
4 Lettera a Jacques Dubourg, Le Lavandou, giugno 1952, in De Staël 1997, p. 1001 («Et que voulez-vous si à force de flamber sa rétine sur le “cassé-bleu”, comme dit Char, on finit par voir la mer en rouge et le sable violet», trad. dell’autrice).
5 Torino 1955b e Torino 1961d.
6 Torino 1960b.
7Mamiano 1994.
8 Torino 1961b.
9 Roma 1959-1960.