Madonna in trono col Bambino

Scultore dell’Italia centrale

1350 c. / metà del XIV sec. c.
legno intagliato e dipinto
40 x 16x 11 cm
Anno di acquisizione 2000


N. Catalogo A563
Inv. 0640


Provenienza

Di dimensioni tutt’altro che monumentali, l’opera si configura come un oggetto destinato alla devozione personale. La statuetta è il frutto dell’assemblaggio di più elementi lignei: al corpo principale, eseguito in un massello attraversato da una profonda spaccatura, ben visibile sul retro, sono connessi il blocco con la testa della Vergine e quello corrispondente alla parte sinistra del sedile. La Madonna, raffigurata in trono, doveva anticamente recare una corona, probabilmente in metallo: lo garantisce il solco che gira attorno al suo capo, determinando una sorta di gradino funzionale all’incastro dell’attributo regale. Lo sguardo della protagonista è rivolto verso un florido Gesù Bambino disposto sul suo ginocchio sinistro. Si fa però molta fatica a leggere la figura dell’infante, che è priva di buona parte dell’antica coloritura ed è stata malamente riscalpellata. Una drammatica frammentarietà, del resto, caratterizza tutto il gruppo, alterato da escoriazioni e perdite tra le quali spicca la mano destra di Maria, che doveva essere ricavata in un ulteriore pezzo di legno ancorato al corpo centrale da un perno ancora visibile. Estremamente lacunosa è anche l’originaria policromia, la cui perdita ha riportato a vista la stoffa dell’incamottatura, come si vede nella parte tergale dell’intaglio, in corrispondenza della nuca della Vergine e del trono, e la preparazione in gesso. Le rare tracce di colore superstiti sono ancora distinguibili nel volto ovoidale della Madonna e nei suoi abiti: una semplice veste rossa e un lungo mantello di colore azzurro che, partendo dal capo, ricade in ampie falde sul suo corpo.

Un tempo parte della raccolta del conte Tomaso Franco di Vicenza e quindi transitata (negli anni novanta del secolo scorso) presso gli antiquari Sascha Mehringer di Monaco ed Ezio Benappi di Torino1, nel 1999 la piccola scultura apparteneva al mercante Flavio Pozzallo, che la espose, come lavoro umbro-senese della metà del Trecento, alla Biennale d’Antiquariato del Lingotto, a Torino2. Essa approdò in Collezione Cerruti l’anno successivo, venduta appunto da Pozzallo in occasione della rassegna «Antiquari piemontesi in mostra», dove fu presentata con il riferimento a uno «scultore francesizzante umbrosenese» del XIV secolo3. Fatta eccezione per tali menzioni, l’opera non è mai stata oggetto di un vero e proprio approfondimento critico.

Il linguaggio del gruppo rivela in effetti una certa dimestichezza, da parte del suo artefice, con formule tipiche del gotico francese. Lo suggerisce, ad esempio, l’accennato movimento della Vergine, che è protagonista, insieme al figlio, di un gioco di corrispondenze gestuali ed emotive impregnato di una vitalità che s’intuisce ancora notevole, benché certo affievolita dall’attuale stato conservativo. Nella stessa direzione spinge anche la tagliente linea del panneggio in corrispondenza delle gambe della Madonna, col profilo delle stoffe affilato e netto, riecheggiante soluzioni di stampo marcatamente oltremontano. Il carattere generale della scultura esclude però una sua origine francese e gli elementi che abbiamo sottolineato andranno dunque intesi come la rielaborazione di quelle specifiche suggestioni da parte di un artista attivo al di qua delle Alpi: con buona verosimiglianza in Italia centrale attorno alla metà del XIV secolo. Date tali coordinate, non è affatto scontato individuare puntuali raffronti che meglio definiscano l’origine culturale della sculturina Cerruti. Tuttavia, mentre pare impercorribile la talora ventilata pista senese, sarà da valutare, quale ipotesi di lavoro, una sua lettura in relazione al contesto abruzzese.Tale interpretazione si può sostanziare mediante confronti con la Madonna col Bambino, stante, già a Pacentro (L’Aquila) e oggi al Museo di Palazzo Venezia di Roma, e con la scultura di analogo soggetto, ma raffigurata in trono, nella chiesa di San Marco a L’Aquila4. Affinità si possono rilevare sia nel ritmo obliquo e nella ridondanza delle pieghe, sia nella struttura dei volti, con i piccoli occhi delle protagoniste separati da lunghe canne nasali, secondo un modulo che conferisce a tutte loro un’aria da damigelle malinconiche e un po’ altezzose. Pur trattandosi di opere con buona evidenza di mano diversa, oltre che un po’ più tarde, i due intagli citati sembrano utili a orientare l’interpretazione della Vergine Cerruti verso l’Abruzzo gotico, profondamente permeato da influenze oltralpine.

[Federica Siddi]

1 Siamo grati a Sascha Mehringer e a Ezio Benappi per queste informazioni. 

2 Torino 1999a, p. 89. 

3 La documentazione è custodita presso l’archivio della Collezione Cerruti. 

4 Fachechi 2011, cat. 8, pp. 80-81.