Madonna con il Bambino in trono tra i santi Gerolamo, che presenta un ecclesiastico, Pietro, Lorenzo, Benedetto, Paolo e Giovanni Battista

Ambrogio da Fossano, detto il Bergognone

1510 c.
Olio e tempera su tavola
97 x 63,5 cm
Anno di acquisizione 1989-1993


Inv. 0022
N. Catalogo A21


Provenienza

Esposizioni

Bibliografia

Il dipinto inscena un’affollata sacra conversazione al cospetto di Maria e Gesù Bambino in trono, rappresentati di dimensioni maggiori rispetto al resto degli astanti. Partendo da sinistra, troviamo per primo san Gerolamo, che sospende la lettura per presentare un ecclesiastico inginocchiato ai suoi piedi. Questi, che dimostra una cinquantina d’anni, è connotato sostanzialmente da un abbigliamento corale: sopra una veste talare nera, che si intravede all’altezza del collo, indossa un ampio rocchetto (superpellicium), un’almuzia di pelliccia bianca e una cappa magna rosso-scarlatta (come la berretta che reca tra le mani) tenuta arrotolata sul fianco destro. Accanto al santo cardinale è rappresentato san Pietro con le chiavi in mano e, in successione, un santo diacono, oggi non più chiaramente identificabile per la mancanza di attributi: guardando il dipinto a luce radente non sfuggono però i segni ancora ben leggibili di parte della graticola, un tempo realizzata in spessore. Essa era ancora visibile nella immagine pubblicata nel 1945 dalla Aprà1, in una versione certo non scevra da ridipinture e allargata ai margini da due listelli successivamente rimossi. Nella stessa fotografia, ancora si individua in un pastorale l’insegna retta dal santo monaco in abito nero, probabilmente san Benedetto, posto alla destra della Vergine: anche in questo caso, in sede di restauro si è deciso di eliminare l’antico elemento identificativo del santo, che emerge però in traccia sotto la pellicola pittorica attuale. A destra di Benedetto è san Paolo, significativo corrispettivo di san Pietro, con spada e libro, mentre chiude il gruppo san Giovanni Battista, che indica Gesù Bambino, a ricordare il suo ruolo di precursore. La sua veste di pelliccia è elegantemente chiusa in vita da un serto di vite o edera (la rarefazione della pellicola pittorica non permette maggior precisione). Maria siede su un semplice trono sullo sfondo di un drappo un tempo forse marezzato e solleva per un attimo gli occhi dal libro che sta leggendo per guardare il committente inginocchiato, benedetto dal Salvatore. Sul bordo del suo manto corre un’iscrizione vergata con l’oro delle decorazioni: «AVE M’ARIA VIRGIN’ REGIN’ ET GLORIOSA»; «AVE» si legge anche sul reverso dello stesso manto. Nella mano sinistra regge un rosario, tenuto anche dalla mano del Bambino. Sullo sfondo, ai lati del drappo d’onore, un paesaggio aspro e montagnoso è connotato da una fitta presenza di santi: a sinistra si riconosce facilmente l’immagine di san Gerolamo nel deserto, in riferimento alla presenza dello stesso santo nella scena principale; a destra compaiono san Benedetto, incedente con la croce e un altro oggetto di più complessa definizione, e san Giovanni Battista con il consueto cartiglio. Meno semplice è identificare i due santi martiri gemelli e speculari, in abiti militari, con tanto di spada, che si librano nel cielo al di là di entrambe le aperture. Essi potrebbero essere riconosciuti in svariate coppie di santi militari e martiri. Se rimaniamo nell’area lombarda, milanese-pavese, dalla quale proviene l’autore della tavola, possiamo pensare a Nabore e Felice, Nazario e Celso, Gervaso e Protaso; ma anche, spostandoci verso est, a Fermo e Rustico, Faustino e Giovita, Vito e Modesto. Altre coppie di santi martiri e militari di devozione diffusa sono costituite dai santi Nereo e Achilleo, Sergio e Bacco, Giuliano e Cesario, Felice e Fortunato, Agricola e Vitale.

Provando ad affrontare il problema dell’ecclesiastico ritratto, andrà notato che gli indumenti da lui indossati possono distinguere sia un cardinale che alcune specifiche categorie di canonici. La veste talare, il rocchetto e l’almuzia sono infatti elementi di abbigliamento tipici dei canonici2, indossati però anche dai cardinali; mentre la cappa rossa e la berretta dello stesso colore, che connotano più comunemente l’abito cardinalizio, erano concesse anche a diverse altre categorie di ecclesiastici, come ricorda Moroni3.

Tra di essi figuravano, oltre ai canonici del Duomo di Pisa, gli ordinari della Cattedrale milanese4 e, date le coordinate stilistiche del dipinto, questa è senza dubbio una notizia del massimo interesse. Possiamo quindi ipotizzare che l’opera sia stata commissionata o da un cardinale lombardo particolarmente parco nel manifestare potere e gerarchia5 oppure, più probabilmente, da uno dei potenti ordinari della Cattedrale di Milano. A scorrere gli elenchi degli ordinari del Duomo dalla metà del Quattrocento ai primi tre decenni del Cinquecento6, con un occhio al santo protettore dell’ecclesiastico, si incontrano nel 1510 Girolamo Riccio e Girolamo Talenti di Firenze e nel 1511 il primicerio Girolamo Clivio, anche deputato della Fabbrica del Duomo, morto nel 1514, tutte figure sulle quali converrà in futuro indagare. 

La tavola presenta, fatte salve le modifiche di cui si è detto poco sopra, che hanno pesantemente inciso sulla lettura dell’iconografia, un discreto stato di conservazione: la pellicola pittorica si mostra in alcuni punti abrasa e ripresa (in corrispondenza del trono marmoreo e dello sfondo paesaggistico del dipinto, nel panneggio di Pietro e Paolo, nella figura del Bambino).

Sul retro dell’opera sono attaccate due etichette con i numeri «399» (in alto a sinistra) e «106» (in alto a destra), mentre centralmente si individuano due carte incollate recanti la descrizione in inglese del dipinto e l’indirizzo della ditta Colnaghi & Co., arricchito, a penna, dalla segnalazione di alcuni ulteriori passaggi collezionistici della tavola (Needham, Von Seidlitz) e dalla notizia della riproduzione del dipinto nel volume di Aprà 19457.

Come ricordato in precedenza, nell’immagine pubblicata da Aprà il quadro appare allargato di qualche centimetro tramite l’aggiunta di listelli lignei dipinti, rimossi in occasione di un passato restauro non documentato, probabilmente il medesimo che ha portato all’occultazione degli attributi di san Lorenzo e di san Benedetto.

Fig. 1. A. Bergognone, Pentecoste, 1508-1509. Bergamo, chiesa di Santo Spirito, particolare.

Ha fatto recentemente luce sulla provenienza dell’opera Laura De Fanti8, che ha individuato il dipinto in un inventario stilato a Bergamo alla morte del padre di Gustavo Frizzoni (1849), Giovanni Leonardo. 

L’occorrenza archivistica lo descrive come una «Vergine con il Bambino in grembo S. Pietro e altri Santi che le fanno corona et un devoto ai piedi». La tavola fu ceduta dalla vedova, forse su consiglio di Giovanni Morelli, assai presto e passò successivamente nella Collezione Habich di Kassel, venduta a Colonia nel 18929 e Von Seidlitz di Dresda10. Nel 1907 Berenson la menziona nella raccolta di sir Charles Turner11, dalla quale deve essere giunta in data non nota (ma dopo il 1912, quando Tancred Borenius ricorda il dipinto ancora presso Turner12, e prima del 1952 della vendita Colnaghi) nel Warwickshire, a Four Oaks, nella raccolta Needham, come attesta la nota manoscritta apposta sul cartellino incollato sul retro dell’opera. Venduta a Londra presso Colnaghi nel 1952, la tavola è poi approdata nella Collezione Candiani di Busto Arsizio: lì la ricordano Mazzini e Berenson13, mentre nel 1989 Marani ne menziona il recente passaggio ad altra anonima raccolta lombarda14. Non è nota la data precisa del passaggio dell’opera alla Collezione di Francesco Federico Cerruti. La vicenda critica della tavola vanta poche voci, tutte piuttosto stringate, ma concordi nell’individuarla come un prodotto bergognonesco: da Beltrami, che lo include nella sua monografia su Ambrogio da Fossano15, a Berenson16 e Borenius17, che la elencano come autografa, ad Aprà, che la riproduce a piena pagina nel suo volume, senza però inserirla nell’elenco delle opere18. Il dipinto è presente nel 1958 alla mostra «Arte lombarda dai Visconti agli Sforza», dove lo scheda Franco Mazzini19, etichettandolo come «tipica pittura di devozione domestica». Lo menziona anche Ottino Della Chiesa20 tra le opere di Bergognone, nella voce sul maestro redatta per il Dizionario Biografico degli Italiani.

Particolare importanza ha conferito all’opera la più recente trattazione di Marani21, che, in un discorso dedicato alla formazione di Bergognone, vi ha individuato un prodotto giovanile del maestro, forse anteriore al 1480, riconoscendovi una sperimentale esercitazione sul tema della Madonna con Bambino e santi, propedeutica alle grandi pale Calagrani (che oggi sappiamo essere Eustachi22), e precisi richiami, nel panneggio della veste della Madonna e nel prototipo del san Giovanni Battista, ai corrispondenti personaggi del polittico della Madonna Cagnola, ritenuto dallo studioso opera di Zanetto Bugatto23.

La tavola, dagli indubbi caratteri bergognoneschi, pare collocarsi con maggior agio sul finale della produzione della bottega di Ambrogio (per la questione si rimanda alla scheda dei Santi Rocco e Sebastiano di Ambrogio Bergognone, p. 414) in prossimità del polittico di Santo Spirito a Bergamo (1508-1509; figg. 1, 2)24, quando la riflessione sui testi leonardeschi induce il maestro a creare un chiaroscuro più ammaccato, reso per velature trasparenti (particolarmente evidente nel san Giovanni Battista), e via via ad accantonare, soprattutto nei dipinti di devozione privata, le più complesse prospettive bramantesche esibite per molti anni. Certe cadute di qualità (il volto del san Benedetto, per esempio), la resa più meccanica di alcuni dettagli, le incongruenze nelle dimensioni delle figure, lasciano ipotizzare, accanto al pittore principale, la presenza di aiuti.

Stefania Buganza

 

1 Aprà 1945, tav. 19.

2 Si veda M. Loschiavo, I Canonici regolari: un abito da chierici, in Roma 2000a, pp. 87-91; le schede relative all’abito canonicale in Roma 2000a, pp. 229-270.

3 Moroni 1840-1861: VII, 1841, p. 244, alla voce Canonico; VIII, 1841, pp. 90-93 alla voce Cappa.

4 Si veda in proposito l’utilissimo Bonanni 1720, p. 436.

5 Un’apertura sull’importante argomento in Rossetti 2019, pp. 422-435.

6 Castiglioni 1954, p. 36.

7 Aprà 1945, tav. 19.

8 L. De Fanti, cat. 63, in Pavia 1998, p. 338.

9 Dumont Schauberg, Colonia, Katalog der ausgewählten und reichhaltigen Gemälde-Sammlung..., 1892, p. 7, n. 14.

10 Dove la ricorda Beltrami 1895, p. 112, n. 130.

11 Berenson 1907, p. 173.

12 Crowe, Cavalcaselle 1912, p. 374, nota 5.

13 F. Mazzini, in Milano 1958a, p. 126; Berenson 1968, p. 43.

14 P. C. Marani, Per la formazione del Bergognone: una traccia, in Milano 1989d, p. 12, nota 14.

15 Beltrami 1895, p. 112.

16 Berenson 1907, p. 173.

17 Crowe, Cavalcaselle 1912, p. 374, nota 5.

18 Aprà 1945, tav. 19.

19 F. Mazzini, in Milano 1958a, p. 126, tav. CL.

20 Ottino Della Chiesa 1960, p. 717.

21 P. C. Marani, Per la formazione del Bergognone: una traccia, in Milano 1989d, pp. 10, 17 fig. 10.

22 M. Albertario, Francesco Eustachi e la pala di Sant’Epifanio. Ipotesi per un committente pavese di Bergognone, in Mulas 2019, pp. 219-229.

23 Per la questione critica, con bibliografia, si vedano Cavalieri 1989; Cavalieri 1996, p. 754; F. Cavalieri, Ancora su Zanetto Bugatto: alcune riflessioni e una nuova proposta, in Elsig, Gaggetta 2014, pp. 23-54; F. Cavalieri, cat. IV.17, in Milano 2015, pp. 292-293; Delmoro 2020, pp. 166-181.

24 Sull’opera si veda R. Battaglia, in Bergamo 2002- 2003, pp. 34-49.

Fig. 2. A. Bergognone, San Giovanni Battista, 1508-1509. Bergamo, chiesa di Santo Spirito.