Madonna con bambino

Scultore fiorentino

1350-1399 / seconda metà del Trecento
legno intagliato e dipinto
64 x 20 x 18 cm
Anno di acquisizione 2001


N. Catalogo A551
Inv. 0627


Provenienza

La Madonna, presentata nelle vesti di una regina, come indica la presenza della corona gigliata sul capo, è raffigurata stante su di una base poligonale, nell’atto di sorreggere il figlioletto seminudo stringendone affettuosamente il piede destro (quello sinistro, invece, è perduto). 

Una tunica amaranto ne cinge il corpo, avviluppata da un drappo dorato che, nella parte frontale e sui fianchi, è smosso da una densa modulazione di pieghe, con un andamento più disteso nella parte tergale. Ai lati del capo della Madonna il manto presenta delle mancanze e l’oro che lo ricopre è in più punti abraso, lasciando intravedere la preparazione sottostante. Nel complesso, la coloritura originale della statua è in larga parte conservata ancorché piuttosto consunta; numerosi fori di insetti xilofagi appaiono sui corpi così come sui volti dei personaggiNulla impedisce tuttavia di cogliere la buona fattura della statuetta, la cui originaria funzione si potrà individuare, come suggerisce il ridotto formato, nell’ambito di una devozione di tipo personale. 

Al pari di diverse altre opere della raccolta Cerruti, anche per quella in esame è documentata una permanenza a Firenze, presso il noto antiquario Carlo De Carlo. Nell’ottobre del 2000 la scultura fu esposta a una delle numerose vendite dei beni del mercante organizzate, all’indomani della sua morte (dicembre 1999), presso la casa d’aste Semenzato1, e poco dopo si aggiunse alla collezione di Francesco Federico Cerruti. Nel catalogo dell’asta fiorentina veniva proposta una condivisibile datazione dell’intaglio al XIV secolo.Quanto invece ai presupposti culturali del suo linguaggio, il riferimento, certamente assai vago, era all’«Italia centro/settentrionale». Al momento della sua presentazione alla vendita, la Madonna risultava notificata: ne era stato già riconosciuto l’interesse culturale e si andava prospettando la possibilità, evidentemente poi non perseguita, ch’essa fosse acquistata dallo Stato esercitando il diritto di prelazione. Nella relazione redatta ai fini dell’acquisizione pubblica, a firma di Mario Scalini e Maria Pia Zaccheddu, l’opera è ricondotta all’ambito fiorentino e datata grosso modo nel settimo decennio del secolo2. 

I due funzionari del Ministero vi riconoscevano una dipendenza dai modi di Andrea Orcagna, il grande maestro del tabernacolo marmoreo di Orsanmichele, che fu altresì pittore nonché intagliatore in legno, e chiamavano a confronto, in particolare per la raffinata policromia, il monumentale Crocifisso riferito appunto all’Orcagna nella centralissima chiesa di San Carlo dei Lombardi a Firenze3. A sostenere un legame con Firenze è stato anche Luciano Bellosi, che, seppur brevemente, ricordava la Vergine tra i pezzi più interessanti posseduti da De Carlo4. A suo parere, l’opera era collocabile cronologicamente alla metà del Trecento e accostabile al dibattuto rilievo col Sacramento del Matrimonio un tempo lungo il lato nord del Campanile della Cattedrale della città toscana e ora esposto al Museo dell’Opera del Duomo5.

Nonostante le oggettive difficoltà nel far riferimento a un contesto ai nostri giorni assai lacunoso e curiosamente poco studiato6, l’idea di inquadrare l’intaglio tra le rare testimonianze della produzione lignea fiorentina di epoca gotica è sicuramente accattivante.

Sembrano suggerire questa direzione, in particolare, la salda struttura colonnare della figura, che rinuncia a ogni allusione al consueto hanchement delle Vergini gotiche, e la nitida, incisa struttura delle pieghe, particolarmente apprezzabile nelle visioni laterali e tergale. Con le doverose cautele del caso, si potrà quindi provare a guardare ai principali cantieri scultorei cittadini, a partire naturalmente da quello di Santa Maria del Fiore, per individuare i presupposti della piccola e misteriosa scultura Cerruti. In quel milieu, verosimilmente nel corso della seconda metà del Trecento, il suo autore potrebbe affondare le proprie radici, attingendo a modelli condivisi anche da opere come l’elegante Madonna col Bambino lignea, di collezione privata, eseguita ormai negli anni novanta del secolo da un giovane e promettente Niccolò di Pietro Lamberti7

[Federica Siddi]

1 Semenzato, Firenze, Eredi De Carlo. Importanti mobili..., 19 ottobre 2000 (lot. 185). 

2 Una copia non datata del documento è custodita presso l’archivio della Collezione Cerruti. 

3 Sull’opera si veda Rasario 1996. 

4 L. Bellosi, Ricordi di Carlo De Carlo e della sua collezione, in Firenze 2001, p. 24. 

5 Per una recente sintesi sull’impresa del Campanile, avviata su progetto di Giotto nel 1334 e proseguita nei decenni seguenti, si veda E. Neri Lusanna, Dopo Arnolfo: Giotto e Andrea Pisano nel Campanile della cattedrale, in Guerrieri 2017, pp. 61-75. Così come è avvenuto per l’intero ciclo dei Sacramenti, anche la paternità del Matrimonio è stata piuttosto discussa. I nomi chiamati in causa sono stati quelli di Alberto Arnoldi (L. Becherucci, in Becherucci, Brunetti 1969- 1970, vol. I, pp. 239, 240) e Gino Micheli da Castello (Kreytemberg1979, pp. 31-37; Id. 1984, pp. 72-77). Per un collegamento tra alcuni dei marmi della serie fiorentina (quelli riferiti, sulla scorta di Kreytenberg, a Maso di Banco) e il sepolcro di Taddeo Pepoli in San Domenico a Bologna, si veda F. Negri Arnoldi, Sulla paternità di un ignoto monumento campano e di un noto sepolcro bolognese, in Garms, Romanini 1990, pp. 431-438. 

6 Accanto alle ancora oggi fondamentali ricerche di Margrit Lisner (1970) sui crocifissi lignei, si veda ora D. Parenti, Breve itinerario nella scultura lignea policroma a Firenze prima del Quattrocento, in Firenze 2016, pp. 25- 35, con un excursus in cui trovano posto alcune delle principali occorrenze note e con svariati ragguagli bibliografici.

7 Sulla scultura, anch’essa transitata da De Carlo, si vedano Kreytemberg 1988-1989, pp. 184-189; L. Bellosi, Ricordi di Carlo De Carlo e della sua collezione, in Firenze 2001, p. 24.