Madonna col Bambino in trono

Maestro di Monteoliveto

1320 c.
tempera e oro su tavola
20 × 10 cm
Anno di acquisizione 1983 post


N. Catalogo A9
Inv. 0009


Provenienza

Il dipinto non è in uno stato di conservazione eccellente, con una diffusa craquelure che percorre la superficie pittorica, mentre lacune interessano la figura della Vergine e i margini della tavola, evidentemente danneggiati quando fu resecata per ridurla al formato attuale. Una fotografia (fig. 1) mostra lo stato antecedente al restauro, che forse avvenne quando l’opera, in Collezione Ventura nel 1948, tornò sul mercato antiquario, prima di essere acquistata da Cerruti tra la fine degli anni novanta e l’inizio degli anni duemila come attribuito a Segna di Bonaventura1

Fig. 1. Un’immagine dell’opera prima del restauro. Fotografia Reali, Fototeca Berenson (Villa I Tatti), inv. 125413.

 

 

Nell’intervento fu integrata anche la decorazione in oro del fondo, che nelle parti meglio preservate ha infatti un aspetto più grossolano. In origine la stoffa del trono doveva avere un motivo simile a quello del trittico del Metropolitan Museum di New York (inv. 18.117.1, fig. 2), concordemente riferito dalla critica, come la Madonna in oggetto, al Maestro di Monteoliveto. Esponente della tradizione duccesca che caratterizzò la cultura figurativa senese nei primi decenni del Trecento, questo petit maître sviluppò una personale sintesi tra la lezione del caposcuola e le novità introdotte da alcuni dei suoi allievi più importanti, quali Simone Martini e Segna di Bonaventura. La ricostruzione della sua attività è stata avviata all’inizio del Novecento da Giacomo De Nicola (1912)2, che collegò la tavola dell’Abbazia di Monteoliveto e il dittico ora nella Yale Art Gallery di New Haven, riconducendoli a un seguace di Duccio, ribattezzato da Cesare Brandi Maestro di Monteoliveto3. Il primo e unico studio monografico, rimasto inedito, si deve a Esther Mendelsohn (1950) che ampliò il corpus con altre opere, tra le quali figura anche la graziosa Madonna Cerruti. Il catalogo in seguito è stato revisionato ed esteso da Gertrude Coor-Achenbach (1955), Luisa Vertova (1970)4 e James Stubblebine (1979). Gli studi più recenti hanno lasciato invariata la ricostruzione del maestro, fatta eccezione per Gaudenz Freuler che gli ha attribuito il Cristo benedicente in Collezione Salini (Asciano), a documentare lo sviluppo estremo della sua parabola stilistica nel cuore degli anni trenta5. Lo studioso ha giustamente ipotizzato uno slittamento cronologico dell’attività del pittore, il cui avvio, in assenza di riferimenti temporali, viene solitamente collocato nel primo decennio del TrecentoNon convince infatti la datazione verso il 1305 delle sue opere più antiche: la lavorazione dell’oro con impiego diffuso di punzoni suggerisce una cronologia più tarda, nel terzo decennio del Trecento6. Una simile datazione, verso il 1320, come proposto anche da Stubblebine7, sembra corretta anche per la tavola Cerruti, nella quale è impiegato un unico punzone, che torna pressoché identico nella Maestà di Monteoliveto8. Il raffronto tra le due opere evidenzia una stretta parentela: forte è la somiglianza dei tipi fisiognomici adottati, dalle teste ovali e i tratti ben delineati, tipico il modo in cui sono raffigurati i capelli del Bambino, mentre ancora non vi è traccia del chiaroscuro marcato che contraddistingue la fase finale del pittore. Anche le scelte cromatiche sono quelle tradizionali del maestro, che predilige una stesura carica, con una palette di colori limitata, come dimostra il confronto con il trittico del Metropolitan Museum di poco successivo. Pittore piacevole e di sicura capacità tecnica, il maestro contribuì a diffondere nella provincia senese il linguaggio duccesco9, declinato con accenti più popolareschi e accostanti, secondo esiti avvicinabili nella fase più matura del suo percorso al più dotato Niccolò di Segna. La sua produzione è limitata quasi esclusivamente a tavole di piccolo formato, Crocifissioni o Madonne col Bambino, che formavano tabernacoli o dittici destinati alla devozione privata. Come suggerito dalle tracce di marmorizzazione sul retrodoveva appartenere a quest’ultima tipologia anche il dipinto Cerruti, che in origine era più grande, forse arricchito dalla presenza di angeli ai lati del trono della Vergine e quasi certamente integrato da un’anta destra raffigurante la Crocifissione: nel catalogo del pittore se ne trovano diverse di ridotte dimensioni, tuttavia nessuna è compatibile da un punto di vista stilistico.

[Gaia Ravalli]

Fig. 2. Maestro di Monteoliveto, Madonna col Bambino in trono, tempera su tavola, fondo oro. New York, The Metropolitan Museum of Art.

1 Il dipinto risultava in Collezione Ventura ancora nel 1959 (Corpus della Pittura Fiorentina, fototeca). 

2 De Nicola 1912, p. 147.

3 Brandi 1933, pp. 176, 177.

4 Vertova1970, pp. 688-691.

5 G. Freuler, cat. 12, in Bellosi 2009, vol. I, pp. 120-123.

6 Kronman 2009.

7 Stubblebine 1979, vol. I, pp. 92-102.

8 Frinta 1998, cat. Ka119b, p. 442.

9 Lungo un asse che da Siena si estese fino all’area aretina (come dimostrano la Maestà per l’Abbazia di Monteoliveto e la presenza in una collezione di Asciano della tavola poi passata in Collezione Knoedler) giungendo probabilmente fino all’Umbria, da dove potrebbero provenire ab antiquo la Madonna col Bambino già nella Biblioteca arcivescovile di Nocera Umbra (ora Pinacoteca comunale) e la Crocifissione nel Cincinnati Art Museum (inv. 1953.220), acquistata nel 1840 in Umbria.