Le Compas (Composition au serpent)
Il compasso (Composizione con serpente)
Fernand Léger
1926
Olio su tela
96,5 x 146,5 cm
Anno di acquisizione ante 1983
Inv. 0131
N. Catalogo A124
Provenienza
Esposizioni
Bibliografia
L’artista ottiene una scansione del dipinto da sinistra a destra che dà a ciascun elemento [...] un ruolo focale nel percorso narrativo svolto sulla tela.
Le Compas o Composition au serpent si inserisce nella fase purista della pittura di Fernand Léger, uscito nel corso degli anni venti dalla sua «époque dynamique», come l’aveva definita Tériade, per entrare in una «époque dorique»1. Congedandosi dalla stagione cubista, Léger si era avvicinato alle istanze della rivista «L’Esprit Nouveau» di Le Corbusier e Amédée Ozenfant, chiusa da pochi anni al tempo della realizzazione di questo dipinto. La vicinanza a quell’ambiente lo aveva indotto a una pittura di forme più semplici e dai volumi più ampi, perseguita soprattutto lavorando sul tema della natura morta, che gli consente di studiare una serie di varianti compositive di elementi disposti sul piano. Nelle sue mani, infatti, quel tema si trasforma in una esposizione paratattica di elementi figurali disposti parallelamente al piano della tela e impaginati su uno sfondo di campiture geometriche astratte e ortogonali. Tali campiture ripartiscono il ritmo di lettura del dipinto stesso, provocando al contempo un contrasto fra elementi modellati con un chiaroscuro netto, che ne amplifica il rilievo tridimensionale, e altri che sono sagome appiattite, come una parete su cui gli oggetti fluttuano senza una relazione diretta. In questo modo l’artista ottiene una scansione del dipinto da sinistra a destra che dà a ciascun elemento (il compasso, il serpente, le due corde, le tre carte da gioco che squadernano un tris di assi, i fiori e i due tubi portamine per il disegno) un ruolo focale nel percorso narrativo svolto sulla tela.
Deriva da quel clima purista anche la scelta degli oggetti. In particolare fra il 1925 e il 1926 Léger dedica un gruppo di dipinti agli strumenti del disegno tecnico e, più in generale, al tema autoreferenziale dei mezzi grafici come primo passo del lavoro di pittura. Il tema compare la prima volta con Nature morte au compas del 19252 che raffigura un compasso aperto, ripreso da un punto di vista molto ravvicinato che ne esclude la sommità fuori dai limiti del quadro, pronto a tracciare un cerchio. Chiuso e come riposto in una lunga e stretta scatola rettangolare, invece, compare in Roses et compas3. Nel 1926 lo si ritrova in una Nature morte (le compas)4, pubblicata da Waldemar George sulla «Nouvelle Revue Française» e su «L’Amour de l’Art»5. In quell’occasione il noto critico, difensore di un «ritorno all’ordine» nella pittura francese, affermava che Léger stava dando un contributo fondamentale alla purificazione del mestiere della pittura grazie a una ripresa della composizione statica, dando rilievo agli oggetti senza rinnegare la morfologia «cilindrica» delle sue forme.
D’altra parte, il pittore era entrato nel pieno del dibattito sulla decorazione murale, e i suoi quadri di quel periodo sembrano pensati per una loro traduzione monumentale su parete. Lo stesso compasso che dà il titolo al dipinto è uno strumento più da cantiere che da tecnigrafo, utile per tracciare segni circolari su grandi superfici tramite una corda tesa. Allo stesso tempo, la composizione si svolge in un interno, per quanto mantenendo volutamente delle ambiguità spaziali, eredi forse della sovrapposizione di immagini desunta dalle tecniche del collage, che rendono la collocazione degli oggetti incerta, di carattere più simbolico che reale.
Le Compas appartenne all’industriale e celebre collezionista americano George David Thompson. Nel 1961 fu presentato nelle sale della Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino in occasione della mostra dedicata alla sua raccolta. Dopo alcuni passaggi sul mercato europeo e statunitense, il dipinto, forte di questa importante provenienza, pervenne in Collezione Cerruti. Una fotografia d’archivio, databile presumibilmente alla seconda metà degli anni novanta, lo mostra allestito nell’ingresso della villa. Dell’opera è fatta già menzione nell’inventario manoscritto della collezione del 30 giugno 1993.
Luca Pietro Nicoletti
1 Tériade 1928.
2 Bauquier 1990-2013, vol. III, pp. 30-31 n. 409.
3 Ibid., pp. 418-419 nn. 417-418.
4 Ibid., pp. 116-117 n. 459.
5 George 1926.
