Fiori
Giorgio Morandi
1954
Olio su tela
20,5 x 22,5 cm
Anno di acquisizione 2009
Inv. 0197
N. Catalogo A192
Provenienza
Esposizioni
Bibliografia
La preziosità delle gamme tonali, i tagli spesso arditi, la fedeltà della misurazione col dato naturale [...] e insieme la perentoria dichiarazione di una pittura che esibisce i valori autonomi di tocco e di materia cromatica fanno di questi quadri un episodio decisivo nella ricerca morandiana [...]
«Chi ha detto che Morandi si ripete? Che i suoi quadri sono tutti uguali? Ciechi, lavatevi gli occhi! C’è più avventura di fantasia in queste bottiglie e in questi paesaggi che in tutto il resto, forse, della pittura italiana contemporanea»1. La reazione di Renato Guttuso di fronte ai quadri della collezione di Carlo Cardazzo esposti a Roma nella primavera del 1941 può degnamente introdurre le cinque tele di Giorgio Morandi della Collezione Cerruti. Un artista che fu spesso accusato di monotonia, tematica ma anche stilistica, sperimenta nel ventennio in cui si scalano queste opere una varietà di linguaggi pittorici quasi sconcertante: sul piano dell’esecuzione Morandi oscilla dalla stesura sensibilmente chiaroscurata, ricca di modulazioni tonali, della Natura morta del 1945 fino alle superfici opache di quella del 1951 ottenute con pennellate dense e sovrapposte; sul piano della regia visiva (e per ciò che riguarda, in particolare, il rapporto tra la posizione delle cose nello spazio e l’arabesco delle loro forme che affiora sulla superficie) la violenta, sintetica tarsia del Paesaggio del 1939 sembra l’esatto opposto della morbida modulazione luminosa, di memoria pierfrancescana, della Natura morta del 1958. Chi oggi guardi insieme questi cinque quadri deve ammettere che non esiste uno «stile Morandi»: a creare un legame tra di loro è la tensione che costantemente si crea nel rapporto tra l’architettura della visione e il colore, costantemente chiamato a contraddire questa architettura. Gli osservatori più preparati riconobbero in questa tensione il cuore della ricerca pittorica di Morandi e la sua grandezza: nel 1939 Cesare Brandi intuì che nella «fusione a caldo» tra «costruzione spaziale prospettica e costruzione cromatica» era quest’ultima a imporsi, e il colore portava sempre un «improvviso attacco dissolvente all’oggetto»2.
Il quadro di Fiori del 1954 appartenne a Rodolfo Pallucchini, segretario della Biennale di Venezia dal 1948 al 1956 e grande ammiratore di Morandi, del quale possedette due importanti nature morte degli anni cinquanta. I piccoli quadri con i fiori, specie quelli che rappresentavano la sola porzione superiore del vasetto con le corolle, erano in genere destinati a un circuito particolare di diffusione della produzione morandiana: erano infatti realizzati dall’artista per lo più come doni per gli amici (tra i quali storici e critici d’arte, letterati e protagonisti della scena culturale in generale) e omaggio per i collezionisti più affezionati. La preziosità delle gamme tonali, i tagli spesso arditi, la fedeltà della misurazione col dato naturale (Morandi dipingeva questi fiori solo dal vero, a seconda della disponibilità dei fiori di stagione) e insieme la perentoria dichiarazione di una pittura che esibisce i valori autonomi di tocco e di materia cromatica fanno di questi quadri un episodio decisivo nella ricerca morandiana, continuato con dedizione dall’artista per tutta la vita. L’opera pervenne in Collezione Cerruti nella seconda metà degli anni novanta, acquistata per il tramite della galleria romana Erica Ravenna Fiorentini Arte Contemporanea.
Flavio Fergonzi
1Guttuso 1941, poi in Guttuso 2013, p. 181.
2Brandi 1939, p. 250.
