Composizione
Massimo Campigli (Max Ihlenfeldt)
1948
Olio su tela
30 x 21 cm
Anno di acquisizione 1960-1969
Inv. 0085
N. Catalogo A77
Provenienza
Esposizioni
L’atmosfera è quella della pittura en plein air, richiamata dall’ombrellino e dall’abito della giovane in primo piano, dalla sedia pieghevole su cui siede la modella a seno nudo, dall’ampio cappello indossato dalla donna in piedi, in lontananza.
Accomunati dal formato, dalla provenienza e dalla storia espositiva, i due dipinti costituiscono una sorta di dittico all’interno della Collezione Cerruti. Per entrambi Massimo Campigli utilizza il titolo Composizione, introdotto nel 1942 in occasione della personale alla Galleria Barbaroux di Milano, dove ha presentato un gruppo di affreschi recenti di piccole dimensioni. La dicitura coglie ed enfatizza la natura combinatoria del suo linguaggio pittorico, incentrato sulla figura femminile replicata in un ampio spettro di varianti. Nel testo della monografia del 1958, pubblicata nelle Edizioni del Cavallino di Venezia, Umbro Apollonio scriverà di una «cifra-donna», un «archetipo» le cui molteplici sembianze sono attraversate da una eterogeneità di fonti, dal Cubismo, assimilato per «monosillabi» e «sigle» nella stagione dell’apprendistato a Parigi, sino al «sorriso soave» mutuato dalla pittura etrusca1. Lungo gli anni quaranta, Campigli sottopone le sue figure a una progressiva semplificazione, tornando così a rivelarne le prime matrici formali: le anfore antiche, gli idoli cicladici, le chitarre cubiste. Nella cornice della continuità stilistica, questo processo di tipizzazione è correlato a una fase di riepilogo e di autoriflessione, sollecitata nel corso del decennio dalla preparazione di numerose pubblicazioni e da importanti mostre, tra le quali la personale del 1946 allo Stedelijk Museum di Amsterdam, poi itinerante al Bojimans van Beuningen Museum di Rotterdam, dalla retrospettiva del 1947 alla Galleria L’Obelisco di Roma e dalla sala individuale, ordinata da Carlo Carrà, alla Biennale di Venezia del 1948. Nella prima Composizione, due donne sono colte in un momento di complicità. Le unisce un gesto evidente eppure discreto, che è insieme di saluto e di contatto. La giovane raffigurata di fronte ha avvicinato la mano alla compagna, vista di schiena, e mentre la guarda negli occhi sembra intenta a sistemarle la collana. Al di sotto dello sguardo, quel moto spontaneo avvicina i due corpi e li congiunge in una relazione intima e confidente. La posa del braccio levato, composto in diagonale, muove la struttura narrativa e compositiva del dipinto, esaltandone per contrasto la simmetria. All’interno dell’accentuata bidimensionalità, è una misura che posiziona le figure nello spazio, conferendo all’insieme un effetto di volumetria. Al binomio speculare della nuca e del viso, corrispondono due sagome pressoché identiche, ritagliate nella tipica forma a clessidra, a sua volta riverberata dalle losanghe ricavate sullo sfondo, secondo l’efficace alternanza visiva fra concavo e convesso. Lo schematismo marcato dei contorni e dei motivi degli abiti ricorda i grafismi scultorei e un po’ pietrosi che Campigli sta sperimentando in parallelo nel campo della litografia e mostra somiglianze con alcune delle tavole con cui nel 1944 ha illustrato il volume dedicato alle Liriche di Saffo (fig. 1)2. I decori lineari delle vesti riprendono l’iconografia astratta dei tessuti, dei tappeti, degli intarsi lapidei, questi ultimi studiati nei cartoni per i mosaici, come nel caso di quello progettato dall’artista e realizzato nel 1940 alla Triennale di Milano. La riduzione segnica lascia immutata la matericità della pittura, stratificata per impasti spessi e ruvidi, così come la gamma cromatica, risolta nella consueta dominanza dei bianchi e delle terre. Allo sfondo variegato e risonante del dipinto del 1947, fa capo quello più uniforme e atono della Composizione del 1948. Il fondale chiaro, delimitato su tre lati da una pennellata giallo tenue, evoca una spiaggia, tema caro a Campigli che ne ha fornito una celebre versione con Le spose dei marinai del 1934, della collezione della Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale3. Le figure poste in successione sono tre costanti iconografiche, introdotte già negli anni venti, con le quali l’artista articola sulla piccola tela un discorso sull’arte. L’atmosfera è quella della pittura en plein air, richiamata dall’ombrellino e dall’abito della giovane in primo piano, dalla sedia pieghevole su cui siede la modella a seno nudo, dall’ampio cappello indossato dalla donna in piedi, in lontananza. Attraverso questo corredo anacronistico, Campigli si riappropria dei luoghi e dei rituali tipici della pittura impressionista e postimpressionista. Rilegge una tradizione fondativa della storia dell’arte moderna, cifrando la mitica Grande Jatte di Georges Seurat: «il grande amore della mia vita» come confiderà nell’autobiografia4. Provenienti dal mercato milanese, rispettivamente dalla Galleria Cairola e dalla Galleria del Naviglio, le due Composizioni entrano a far parte delle opere della Galleria Gissi di Torino che le espone nel 1962 in una collettiva intitolata ai «Maestri del Novecento». Sono le prime due opere dell’artista a essere acquisite da Francesco Federico Cerruti, con ogni probabilità già nel corso degli anni sessanta.
Giorgina Bertolino
1 Apollonio 1958, p.n.n.
2 Si veda in particolare Preghiera ad Afrodite, in Saffo 1944.
3 Campigli 2013, vol. II, p. 475, n. 34-029.
4 Campigli 1995, p. 41.
Fig. 1. M. Campigli, Preghiera ad Afrodite, 1944, litografia per le Liriche di Saffo.
Massimo Campigli, Composizione, 1947.


