Amalassunta
Osvaldo Licini
1949 c.
Olio su tela applicata su tela
19 x 27 cm
Anno di acquisizione 1990
Inv. 0132
N. Catalogo A125
Provenienza
Esposizioni
La linea di separazione che costantemente anima e diversifica lo scarto tra spazio terrestre e celeste, quell’orizzonte che, come ha notato Francesco Bartoli, è insieme «paesistico ed erotico», qui si increspa a disegnare i profili di due seni/colline, su cui levita, ma senza distaccarsi definitivamente da terra, il bianco volto lunare.
Osvaldo Licini espose le prime Amalassunte alla Biennale di Venezia del 1950. In una lettera a Giuseppe Marchiori del 21 maggio di quell’anno, in previsione dell’eventuale impossibilità di essere presente all’inaugurazione, scrisse, con il contrappunto ironico che sempre interviene nel suo epistolario a modulare, distanziare o velare il lirismo delle immagini: «Ma, se dovessi mancare e qualche anima curiosa dovesse rivolgersi proprio a Lei, critico d’arte senza macchia e senza paura, per sapere chi è questa misteriosa “Amalassunta” di cui tanto ancora non si parla, risponda pure, a mio nome, senza ombra di dubbio, sorridendo, che Amalassunta è la Luna nostra bella, garantita d’argento per l’eternità, personificata in poche parole, amica di ogni cuore un poco stanco»1.
Per battezzare la sua icona astrale, posta in bilico tra metafore pagane e cristiane, Licini scelse di evocare l’appellativo mariano di Assunta, incastonandolo nel nome della regina ostrogota Amalasunta, in un gioco di parole che racchiude in sé possibilità di lettura contrastanti. Mutevoli come tutti i personaggi che compaiono nei suoi dipinti tra anni quaranta e cinquanta, dagli Olandesi volanti agli Angeli ribelli, le Amalassunte sono figure in costante trasformazione, frutto del montaggio di volti-luna e di mani chiuse o aperte, talvolta alate, su cui possono essere inscritti numeri, lettere, stelle, cuori (figg. 1, 2). Figure angeliche e orizzonti aerei avevano fatto la loro apparizione nella pittura di Licini già agli esordi, a fine anni dieci, e avevano sotterraneamente animato negli anni trenta le sue opere astratte2. Importanti per il suo avvicinamento a gruppi e riviste come «Cercle et Carré» e «Abstraction-Création» erano stati il viaggio nel nord Europa e a Parigi del 1931 e, dall’anno successivo, il rapporto con la milanese Galleria del Milione, attiva nel proporre in Italia i temi del Razionalismo e dell’Astrattismo.
La peculiarità, o meglio l’anomalia, della sua adesione all’Astrattismo fu apertamente dichiarata nel 1935, in occasione della prima personale milanese, in una Lettera aperta in cui egli definiva la pittura «arte irrazionale e con predominio di fantasia e immaginazione, cioè di poesia» e annunciava l’intenzione di dimostrare che «la geometria può diventare sentimento»3.
Nel 1938 conobbe il filosofo e studioso di discipline orientali Franco Ciliberti, che accolse un suo contributo sulle pagine del numero unico della rivista «Valori primordiali» e con cui l’artista, dall’isolamento di Monte Vidon Corrado, intrattenne fino al 1945 un rapporto epistolare recentemente pubblicato nella sua integrità, determinante per mettere a fuoco la sacralità originaria delle figure totemiche e degli alfabeti segnici che affiorano nei suoi dipinti a partire da fine anni quaranta4.
Il pieno riconoscimento del valore europeo dell’opera di Licini, del suo collocarsi con autonomia e originalità nel solco della via indicata da Paul Klee e Joan Mirò, maturò solo a fine anni cinquanta, nel 1957 con l’omaggio tributatogli a Torino da Luigi Carluccio, in occasione della quinta edizione della mostra «Pittori d’oggi. Francia-Italia», e l’anno successivo con l’antologica al Centro Culturale Olivetti curata da Giuseppe Marchiori e con la sala personale alla XXIX Biennale di Venezia, che gli valse, pochi mesi prima della morte e non senza polemiche, il Gran Premio per la Pittura5.
Delle due Amalassunte in Collezione Cerruti, quella su fondo verde fece parte del patrimonio della Galleria Lorenzelli sin dagli inizi dell’attività delle due sedi di Bergamo e Milano, a fine anni cinquanta, per essere poi ceduta dopo il 1982 al Centro Tornabuoni di Firenze. Quella su fondo blu, segnata da qualche pentimento e caduta di colore, proviene dalla Galleria Rizziero, attiva prima a Teramo e poi a Pescara, che la presentò in occasioni espositive diverse a partire dal 1990.
Questo dipinto è specularmente simile a una Amalassunta su fondo cinabro datata da Marchiori al 19496. La linea di separazione che costantemente anima e diversifica lo scarto tra spazio terrestre e celeste, quell’orizzonte che, come ha notato Francesco Bartoli, è insieme «paesistico ed erotico»7, qui si increspa a disegnare i profili di due seni/colline, su cui levita, ma senza distaccarsi definitivamente da terra, il bianco volto lunare.
Nell’opera di provenienza Lorenzelli lo spazio del cielo si satura di verde, come a raccogliere e riverberare i cromatismi e le profondità di un universo vegetale. Protagoniste sono le mani, l’una svettante da terra nell’atto di suggerire un’indicazione numerica, l’altra veleggiante ad accogliere nel palmo aperto l’imprimitura del disegno di un cuore. Come aveva sottolineato Licini in un testo programmatico del 1937, «la pittura è l’arte dei colori e dei segni. I segni esprimono la forza, la volontà, l’idea. I colori la magia. Abbiamo detto segni e non sogni»8.
Maria Teresa Roberto
1In Licini 1974, p. 148.
2Si veda F. Pirani, Metafore dell’aria di Osvaldo Licini. Tra memoria e oblio, in Venezia 2018-2019, pp. 193-203.
3O. Licini, Lettera aperta al Milione, in «Bollettino della Galleria del Milione», n. 39, 19 aprile - 1 maggio 1935, ora in Licini 1974, p. 99.
4Monte Vidon Corrado 2020.
5Si veda S. Salvagnini, Osvaldo Licini e la critica d’arte, in Venezia 2018-2019, pp. 205-233.
6Marchiori 1968, tav. LI, p.n.n., n. 267.
7F. Bartoli, Figure dell’incastro e metafore dell’aria nel linguaggio di Licini, in Licini 1974, pp. 43-61 (cit. p. 61).
8O. Licini, Natura di un discorso (1937), ora in Licini 1974, pp. 101-102 (cit. p. 102).
Fig. 1. O. Licini, Amalassunta no. 1, 1949, oil on canvas. Reggio Emilia, Maramotti Collection.

